Martedì 21 aprile 2009

 

La vita
in 5 date
2003  Trova e soccorre il suo primo riccio: non sapendo da che parte cominciare si rivolge a un centro di cura svizzero.

2005  Il centro Sos ricci (www.sosricci.it) diventa un Cras - Centro di recupero animali selvatici riconosciuto dalla provincia e dalla regione.

2006 Pubblica il suo libro “Il riccio. Ci sono anch’io!” (Alberto Perdisa editore) di cui è molto orgogliosa perchè non esistono testi italiani sul riccio.

2007 Dà il via ad attività di educazione ambientale con scuole primarie e secondarie, tuttora in corso, che sviluppano diversi progetti nell’ambito della biodiversità.


 

2008 Iniziano i rapporti con le università ed escono le prime tesi sui ricci, portando nel centro lavori di ricerca scientifica molto importanti - ad esempio sull’etologia del riccio.

 

Ricci rimessi a nuovo
nella clinica tutta per loro

MARINA SETTI biologa, emiliana doc, da anni cura e riabilita ricci ammalati nell'unica clinica italiana, a Reggiolo (RE), che si occupa di loro: Sos Ricci.

Come hai scelto di diventare la paladina di questi piccoli animaletti?
Perché ho scoperto che dei ricci nessuno si occupa. In Italia esistono centri di soccorso per animali selvatici piccoli e grandi, ma nessuno che si prenda cura esclusivamente dei ricci. Così ho fondato un Cras (Centro di Recupero di Animali Selvatici, ndr) riconosciuto dalla provincia e dalla regione che mi autorizza ad accogliere tutta la microfauna, ma specializzato per i ricci.

Quindi nessun trauma infantile da esorcizzare dietro questa scelta...
No, di fondo c’è una immensa passione per l’animale indifeso, in difficoltà. Forse tutto è cominciato alla Lipu, dove curavo i rapaci. Un giorno ci è capitato un piccolo riccio: oltre a lui ci siamo trovati in difficoltà anche noi. Documentandomi sono incappata in un’associazione, la Pro Riccio Svizzera della Protezione Animali di Bellinzona. Forse hanno intuito la mia sensibilità: fatto sta che sono venuti personalmente e mi hanno convinta ad aprire il mio centro. Al quale, economicamente, provvedo da sei anni con il mio stipendio di impiegata part-time (diversamente non potrei occuparmi del centro) in un poliambulatorio di medici di famiglia.

Niente finanziamenti?
No, e la situazione dal punto di vista dei costi è insostenibile. Radiografie per piccoli traumi interni, esami del sangue per scoprire eventuali parassitosi, narcotico per le anestesie, veterinario, cibo. Tutto ha costi elevatissimi.

Lanciamo un sos allora...
Sì, magari ci ascoltano. Per ora sto ancora aspettando una risposta alla richiesta di sovvenzionamento che ho avanzato alla Regione. Da anni porto infatti avanti un progetto di sensibilizzazione con le scuole di e fuori provincia. Per ora a mie spese. Domani chissà.

In Europa centri come il tuo sono invece diffusi...
Sì, solo in Inghilterra ci sono decine di ospedali medici. Ma centri di recupero e addirittura cliniche specializzate si trovano in nord Europa, in Austria, in Germania e in Spagna.

Dove ricevono magari soldi pubblici...
C’è un’attenzione diversa. Anche perché avere un riccio in giardino è considerato normale. In Inghilterra il riccio è quasi un animale domestico: ci si prende cura di lui, lo si nutre, gli si dà l’antiparassitario, si provvede che abbia acqua nei periodi estivi.

Qual è la prima causa di morte?
Diversamente da quanto si crede non è l’impatto con l’automobile la prima causa di morte del riccio: anemia o intossicazioni da veleno fanno molte più vittime. L’animale che mi arriva più spesso è il riccio che ha mangiato la lumaca, che ha mangiato il lumachicida. Micro dosi di veleno che, quando non sono letali nell’immediatezza, agiscono durante il letargo. Si depositano nel grasso che l’animale usa per sopravvivere mentre dorme. E così passa dal sonno alla morte.

Che vitaccia!
Difficilmente il riccio supera l’anno di vita. Due i motivi: alla nascita la mortalità è del 70% perché alto è il rischio che la mamma muoia (auto, zecche, pesticidi, decespugliatori) o abbandoni il nido spaventata da rumori o altri animali (cani, gatti, faine). C’è poi la mortalità del letargo, al cui termine, per cause come sottopeso e parassitosi, non si risveglia l’80% dei ricci. In cattività o con un piccolo aiuto questi animali possono invece vivere anche sette anni. La mia Pandora ne ha quasi sei!

Che altro attenta alla vita dei ricci?
Le zecche sono terribili, perché innescano un’anemia così profonda che il riccio non ha nemmeno più la forza per mangiare. Per questo il centro si sta attrezzando - in via sperimentale e sempre con mezzi propri - per trasfusioni da un esemplare all’altro. Dei ricci però non conosciamo il gruppo sanguigno, occorre quindi fare ricerca - cioè servono soldi. Che non ho.

Con più soldi salveresti più ricci insomma.
Ma scherzi? Si potrebbe salvarne molti ma molti di più. Con enormi vantaggi per l’habitat - e quindi per noi: i ricci sono infatti ottimi “indicatori biologici” dello stato di salute dell’ambiente.

Dopo tutto quello che fai per loro, i ricci danno segno, in qualche modo, di riconoscerti?
Certo! Il mio unico dispiacere è quando - generalmente prima dell’inverno - mi portano degli esemplari sottopeso. Per rimetterli in forma devo “manovrarli” quotidianamente - controllare gli aculei, pesarli, nutrirli. Quando non morsicano più, quando gli aculei sono bassi, allora capisco che il distacco sarà duro. E poi: quando l’animale “sa” che sarò con lui si mette in agitazione, mi aspetta. Perchè vuole il cibo, desidera essere pulito, magari fare anche una passeggiatina.

Come riconosci i tuoi piccoli ospiti?
Tengo numeri e schede di ingresso per codice colore che applico con lo smalto per unghie sugli aculei - il chip lo metto quando li libero. Ma li riconosco soprattutto dal musetto, dallo sguardo, dal temperamento. Se me ne scappa uno dalla gabbia e non guardo il numero che è fuggito, io so chi è perché ho osservato a lungo questi animaletti. Che mi ripagano con grandi dosi di dolcezza e tenerezza.

In passato ti sei presa cura dei pipistrelli, oggi dei ricci. Domani?
Dei miei figli, che oggi hanno 14 e 17 anni. Si sono dovuti adeguare a una mamma che ama troppo gli animali. Ho poi un progetto al quale tengo molto, che è corteggiatissimo dalle università. A partire dallo stato di salute dei miei ricci, che vengono da tutte le zone d’Italia, punta a rivelare lo stato di salute delle nostre regioni. Perchè l’educazione ambientale è fondamentale.

Laura Zangarini